Così ci sentivamo.
Avevamo capito cose nuove, diverse da quelle che ci avevano sempre vendute per giuste e insindacabili e dentro di noi spingeva, come un'onda, il desiderio di diffonderle. Le verità dispiegatesi ai nostri occhi grazie alla ritrovata chiave di lettura della realtà erano così evidenti che ci sembrava facile organizzarci e farle intendere anche al mondo intero. La sottigliezza del lacerato velo di Maya ci illuse di poter riuscire nell'intento usando strumenti semplici come semplice ci era sembrato capire il grande inganno, nessuno di noi pensava di dover avere una laurea in scienza della comunicazione per far intendere alle masse ciò che, abilmente occultato o imbiancato come i sepolcri, era da millenni sotto agli occhi di tutti. Addirittura, in questa onda di entusiasmo, arrivammo a credere anche di essere noi, gli illuminati, tutti simili, quasi amici. E come gli amici organizzammo banchetti, info point, scenografie di strada e, soprattutto, per essere ascoltati provammo a gridare e a urlare.
Urlavamo contro il sistema, urlavamo contro le menzogne, urlavamo, contro le ingiustizie, contro carnefici e mandanti, contro collusi , corrotti e corruttori.
Gridare servì molto, non tanto a risvegliare le coscienze - per quello ci sarebbe voluto ancora molto tempo- quanto a far sentire al sistema che, seppur nell'intontimento generale, qualcuno aveva aperto gli occhi e zitto non sarebbe più stato.
Eravamo come l'erba di aprile, quella turgida, nuova, di un verde acceso e brillante.
Quella che ce n'è tanta che nasce, molta meno quella che cresce, poca quella che arriva a riprodursi.
Come l'erba ad aprile, così eravamo noi. Botte di intensa ma breve vita, in attesa della primavera ventura che, volenti o no, sarebbe nuovamente arrivata dopo un altro giro della terra intorno al sole.
Non riuscimmo a cambiare il mondo, ma lasciammo molti semi; disorganizzati come eravamo non potevamo fare altro che sperare nella futura primavera.
Luisa Barbara Avetta 25/4/2019
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